A che serve misurare quello che tendenzialmente non vuole essere misurato? Ventitré Utopie Urbane del XVIII-XX secolo compongono tracce di un percorso fascinoso, tra problemi di misura e necessità di figura, e riflettono sul ruolo e l’attualità dell’Utopia come esercizio personale di desiderio e di bisogno. Questo volume non ha la pretesa di produrre uno studio storico-cronologico completo dei progetti sulla città dell’utopia, quanto piuttosto di ragionare sul ruolo e le ricadute del progetto utopico sulla pratica e sul pensiero architettonico di oggi. Le ventitré Utopie Urbane studiate - dalle saline di Chaux di Ledoux a Là ville radieuse di Le Corbusier, dal piano di Tokyo di Kenzo Tange al grattacielo alto un miglio di F.L. Wright fino a plug-in city di Archigram - sono messe a confronto e applicate in maniera estensiva sui 1.680 ettari della zona industriale di Porto Marghera. La reiterazione, la spalmatura di ogni utopia su quell’ambito territoriale sono servite a mettere sotto stress i modelli presi in esame, per cui lo smisurato o l’atomico vengono sconfitti dalla dimensione conforme usata. Riescono a risultare parzialmente convincenti soltanto le scale intermedie; e la dicotomia insanabile tra utopie antiurbane e megalopolitane è perfettamente rappresentata dal confronto in situ della wrightiana Broadacre e di Plug-in City.