È diffusa opinione che lo spazio pubblico non sia più quello fisico ma quello virtuale, e che quest’ultimo vada via via sostituendo lo spazio sociale della città. Come è stato sottolineato da chi analizza nella società contemporanea l’affievolimento delle pratiche simboliche e la scomparsa delle forme rituali, lo sviluppo della tecnologia ci spinge sempre più a rinunciare al diritto allo spazio, oltreché al diritto al tempo. Immaginare un luogo del transito e insieme dello stare, che usi la metafora del “passaggio” per radicare funzioni eccezionali, e che a contempo reagisca alle ordinarie sollecitazioni di una società che mostra emergenti interessi per le spiritualità civili e per le pratiche collettive, intercomunitarie, è già di per sé un compito delicato e tortuoso. Ma l’esercizio proposto nel libro ha l’ulteriore ambizione di immaginare questo luogo a Porta Maggiore, una delle compagini urbane più caotiche e stratificate della città di Roma, probabilmente la più irrisolta del centro storico.