Di fronte alle architetture di azab ci possiamo rilassare, sarà un viaggio attraverso un “mondo coloratissimo”, avrebbe detto Gio Ponti, da guardare con gli occhi di un bambino – sovente attore-protagonista di questi spazi – o con quelli del flâneur: uno “spazio prensivo” dove le percezioni, a cominciare dallo sguardo nella sua dimensione furtiva, vengono stimolate fino al punto che lo spettatore si senta amabilmente brillo. È un mondo in festa, un carnevale, il preludio a un rito, la profezia di un incantesimo. Non occorre cercare significati reconditi, metriche segrete, strutture ermeneutiche dissimulate dietro ai pezzi che compongono la briosa collezione di architetture – case, scuole, piazze – che nel suo insieme è un’esegesi del “domestico” di cui l’architettura è forma alta di costruzione. La costruzione – in quanto processo che dà concretezza a un sistema di valori attraverso la materia lavorata – e non la rappresentazione di un pensiero è il sigillo di questo gruppo di architetti, un doppio misto composto da Cristina Acha, Miguel Zaballa, Ane Arce e Iñigo Berasategui che nel 2018 fondano lo studio a Bilbao. Testo introduttivo di Caterina Padoa Schioppa.